Il magistrato Di Matteo ai ragazzi: “No ai compromessi”


Nino Di Matteo durante il suo discorso

Sala d’Annunzio gremita  ieri per l’incontro con gli studenti con il pubblico ministero Nino Di Matteo, a cura della Presidenza del Consiglio Comunale. L’incontro è stato la cornice del conferimento della cittadinanza onoraria da parte del Comune di Pescara e di altri centri a uno dei nomi di spicco nella lotta contro le mafie. L’evento si è svolto nell’arco della mattinata presso la Sala d’Annunzio dell’Aurum gremita di ragazzi delle scuole di Pescara e provincia, dove il magistrato è arrivato prima delle 10. La presenza dei ragazzi ha fatto da sfondo ad un collegamento Skype con Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso in via D’Amelio, che ha aperto l’incontro, proseguito con i conferimenti delle cittadinanze onorarie di Pescara per mano del sindaco Marco Alessandrini, di Chieti per mano del sindaco Umberto Di Primio, di Spoltore con il sindaco Luciano Di Lorito, Città Sant’Angelo con il sindaco Gabriele Florindi, Montesilvano con il vice sindaco Ottavio De Martinis, Pineto con il vice sindaco Cleto Pallini, Miglianico con il vice sindaco Ester Volpe, Bucchianico con la vice sindaco Valentina Tatasciore.

La manifestazione dal titolo “Dalla parte della legalità”, è stato fortemente voluto dal Movimento 5 Stelle Abruzzo, che ha voluto rendere così omaggio ad un vero servitore dello stato. All’incontro oltre alla presenza delle numerose alte cariche politiche, civili e militari ha visto la presenza di numerosi istituti scolastici provenienti da tutto l’Abruzzo, con cui il magistrato ha voluto fortemente instaurare un dialogo incentrato tutto sulla lotta alla mafia. Attraverso un collegamento via Skype all’evento ha preso parte anche Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso e testimonial della lotta alla legalità.

Durante il collegamento Salvatore Borsellino, ha sottolineato più volte :“ Le minacce al magistrato Nino Di Matteo non arrivano dalla mafia, che in fin dei conti ha molti dei suoi esponenti in carcere e poco da temere, ma da quella parte deviata dello Stato che ha voluto la trattativa e le stragi del 1992 e 1993, e che negli ultimi 20 anni ha dato vita alla congiura del silenzio, nel tentativo di affossare il processo”.

Di Matteo è un uomo dello Stato al quale la nostra Nazione deve molto, impegno, professionalità e dedizione al servizio lo hanno portato nella sua carriera ad occuparsi più̀ volte dei rapporti tra criminalità organizzata e alti esponenti delle istituzioni. Nino Di Matteo è entrato in Magistratura nel 1991 come Sostituto Procuratore presso la ODA di Caltanissetta, è stato presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati di Palermo. Divenuto Pubblico Ministero a Palermo nel 1999 ha indagato, tra le altre vicende, anche sulle stragi di mafia in cui sono stati uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, insieme agli agenti delle rispettive scorte. Nel corso di uno dei tanti processi legati alla trattativa Stato-mafia che hanno visto il magistrato impegnato nella difesa della legalità̀, ha ricevuto minacce di morte da parte del boss Totò Riina, intercettate dalla magistratura durante una conversazione privata in carcere. Dopo il collegamento con Salvatore Borsellino, il magistrato dalle mani dei ragazzi accompagnati rispettivamente dai Sindaci dei loro comuni di appartenenza hanno consegnato a Nino Di Matteo, le varie cittadinanze; tra questi il sindaco di Città Sant’Angelo, Gabriele Florindi, ha espresso al magistrato la propria vicinanza ma, soprattutto l’invito a recarsi a Città Sant’Angelo, per un incontro con gli studenti.

Commoventi le parole del magistrato DI Matteo, intervallato da scroscianti applausi: “questo abbraccio ideale che oggi avete voluto dedicarmi, costituisce per me una splendida occasione per scolpire ancora più profondamente nella mia coscienza di magistrato, la convinzione che l’essenza più autentica, più nobile della funzione del magistrato – ha dichiarato Di Matteo – non è quella dell’esercizio di un potere, ma quella di rendere servizio alla comunità”. Durante il suo discorso, ha messo in risalto il suo dovere di magistrato e nel servire l’esercito dei silenziosi senza potere: “Nei momenti di maggiore difficoltà la convinzione che mi anima e mi sostiene nel cercare di portare avanti il lavoro del magistrato, che è quello principale di servire la collettività e in particolare i più deboli, gli onesti, l’esercito dei silenziosi senza potere. Una collettività – spiega Di Matteo, – che dalla magistratura e dal singolo magistrato deve attendersi e deve pretendere reale indipendenza di azione, reale autonomia da ogni altro potere, non soltanto da quello politico. Deve pretendere – dichiara il magistrato – dalla magistratura coraggio, decisione nel perseguire l’obiettivo di contribuire alla effettiva attuazione dei principi costituzionali e, in particolare, al principio fondamentale dell’uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge.” 

Di Matteo, prosegue il suo toccante discorso sulla legalità dinanzi ai ragazzi, degli istituti accorsi per ascoltare il magistrato e punta il dito contro la politica: “ Da cittadino e da magistrato, mi auspico che la politica si riappropri di un ruolo di prima linea nella lotta alla mafia, di una capacità di denuncia e di far valere la responsabilità politica di certi comportamenti anche quando non costituiscono reati. Mi auguro – ha detto – che si riappropri di quel connotato che caratterizzò fortemente, anche in certe fasi drammatiche della nostra storia, l’azione di partiti politici all’epoca all’opposizione e che caratterizzò in certe fasi l’attività delle commissioni nazionali antimafia e, per esempio, l’attività politica di uomini come Pio La Torre, che, prima ancora che scattassero le indagini della magistratura, nella relazione di minoranza della commissione parlamentare antimafia del 1976 avevano il coraggio di indicare i nomi e i cognomi, i fatti e le prove, dei personaggi politici, del mondo dell’imprenditoria e della finanza siciliana e non solo, che colludevano con i mafiosi. Quello era un esempio di politica antimafia vera”.

Nel suo discorso Di Matteo ha ricordato il delitto di Peppino Impastato: “questa è la vicenda madre della trattativa Stato – Mafia. Per lui venne attuata un’azione di clamoroso depistaggio delle indagini per il quale si vuole far passare Impastato per un suicida o per un attentatore. Se c’è depistaggio, non passa tra le mani di un Totò Riina o di un Badalamenti: sono cose che passano attraverso le mani di esponenti delle istituzioni, quindi chiediamoci cosa c’è dietro, cosa si vuole nascondere.” E ancora ricorda ancora i delitti eccellenti commessi dalla mafia: “ in troppi delitti eccellenti, è una costante – afferma Di Matteo – sappiamo chi ha ucciso Dalla Chiesa, ma non sappiamo chi ha prelevato appunti e diari dalla sua cassaforte. Conosciamo il nome di chi ha schiacciato il bottone del tritolo per Falcone ma non come sia stato possibile trovare il suo computer al ministero vuoto e manomesso. Così come per Borsellino: aveva un’agenda rossa, e ora non c’è più”. Per il magistrato il Dna della mafia, è rappresentato da una costante ricerca del rapporto con la politica, le istituzioni, con il mondo dell’economia, delle imprese, della finanza e con il mondo delle professioni. “ Per i mafiosi quel tipo di rapporto con il potere è fondamentale per la stessa esistenza in vita delle loro organizzazioni, senza quei rapporti la mafia non avrebbe mai potuto raggiungere la potenza e la pericolosità che la contraddistinguono. I mafiosi, le teste pensanti delle organizzazioni – ha proseguito Di Matteo – sono consapevoli dell’importanza di questo rapporto con il potere e per questo motivo da più di 150 hanno accresciuto la loro potenzialità e criminalità. Hanno la consapevolezza di quanto siano fondamentali per loro questi rapporti esterni e purtroppo, io credo che lo Stato, le istituzioni politiche nel loro complesso, non hanno ancora dimostrato con i fatti di voler recidere una volta e per sempre questi legami. Questo, è il motivo per il quale, pur avendo vinto importanti battaglie contro le organizzazioni mafiose, ancora non riusciamo a vincere la guerra. “

Durante il suo intervento non manca di puntare il dito contro la mafia e la corruzione un reato che va diffondendosi nel nostro paese: “Dobbiamo comprendere tutti – dice Di Matteo – magistrati, forze dell’ordine, istituzioni politiche e società civile, che oggi mafia e corruzione, delitti di criminalità organizzata e delitti contro la pubblica amministrazione, rappresentano due facce della stessa medaglia. Due aspetti diversi di un sistema malato, che si va espandendo come un cancro.” Non manca il magistrato di toccare il tema delle prescrizioni dei reati: “ oggi ci dobbiamo confrontare con un sistema criminale integrato, in cui i delitti contro la pubblica amministrazione rappresentano, spesso, uno strumento attraverso il quale le mafie penetrano le istituzioni pubbliche, eppure, ad oggi, il quadro normativo in vigore garantisce ancora purtroppo ai collusi, ai facinorosi delle classi più ricche, spazi troppo ampi di sostanziale impunità, in particolare, attraverso il sistema della prescrizione dei reati. Con l’estinzione dei processi, con la declaratoria di prescrizione, si finisce per vanificare non soltanto gli sforzi dei magistrati e delle forze di polizia, ma, prima ancora, si mortificano le aspettative delle persone offese e di tutti i cittadini onesti che hanno diritto alla trasparenza e alla pulizia dell’amministrazione della cosa pubblica.”

Sul finire dell’intervento il magistrato rivolge un appello a tutti gli studenti: “Ragazzi, oggi quotidianamente ogni anno nelle scuole fate lezioni di legalità, partecipate a questi corsi formativi, ma la legalità non può prescindere dalla verità. Dovete farvi portatori di un sogno, di una convinzione, la lotta alla mafia, dal metodo mafioso deve partire da voi, deva partire da una nuova formula di resistenza, di rivoluzione culturale contro questa mentalità mafiosa, contro la prevaricazione del più potente contro il più indifeso, contro le mentalità delle appartenenze che fa andare avanti le persone nella loro carriera in base, all’appartenenza di un gruppo politico, imprenditoriale. Tra poco tempo, quando uscirete dai banchi di scuola per immettervi nel mondo del lavoro o dell’università, vi si porrà un bivio da una parte una strada dritta, in salita, ma bella, quella di farvi avanti con il vostro impegno e la vostra dedizione, dall’altra parte la strada del compromesso, di chi per cercare un lavoro, o per entrare nell’università a numero chiuso si lega ad un carro di un potente, di una qualsiasi persona che promette però in cambio delle sue promesse vuole avere il vostro voto o vuole condizionare la vostra libertà . Bisogna non dare spazio alla rassegnazione, noi in Sicilia siamo stati in grado di promuovere un cammino nella legalità, ci sono giovani che appartengono alle associazioni contro la mafia; ciò significa che si può cambiare. Voi, dalla magistratura dovete pretendere verità e giustizia ma, vi dovete ricordare che quella autonomia e quella libertà della magistratura, non è un privilegio per la magistratura ma, una garanzia per voi cittadini. Per coltivare il sogno di una rivoluzione culturale che parta dai giovani, riesca a restituire al nostro paese il profumo che ha perso della libertà, di una democrazia reale, questo è l’unico modo è lo dico da magistrato per ricordare i grandi magistrati come il giudice Alessandrini, Livatino, Borsellino e Falcone, loro non si ricordano soltanto nel giorno del loro anniversario, ma sempre ogni giorno e dobbiamo dimostrare che loro non  sono morti per nulla”.