Che la festa si avvicinava era evidente: in paese cominciavano ad arrivare compagnie di pellegrini dai luoghi in cui il culto del santo era più profondo. A Cocullo arrivavano a frotte, dall’Abruzzo e dalle regioni confinanti. Tutti apparivano profondamente commossi, la tensione spirituale era palpabile. Donne, braccianti, pastori e contadini si offrivano al rito intonando inni devozionali. Entravano in chiesa cantando e uscivano camminando a ritroso, perché il suddito non deve mai distogliere il volto dal Signore. Ancora oggi, all’interno della chiesa, mentre sull’altare maggiore si celebra la liturgia per San Domenico, in altri punti si consumano rituali fortemente simbolici: c’è una piccola fila lì dove si tira con la bocca la corda di una campanella, per preservarsi dal mal di denti. In una grotta dietro la nicchia del Santo i devoti prelevano manciate di terra da spargere sui campi o intorno alle case per tenere lontani i pericoli. Fuori, i serpari si assiepano nella piazza principale e nelle viuzze del paese. Aspettando la processione, esibiscono orgogliosamente i vari tipi di serpi catturate durante il letargo (poi liberate negli stessi posti a festa finita). Offrono a tutti la possibilità di toccarle, addirittura di mettersele addosso.
Per i tanti che arrivano a Cucullo – pellegrini, curiosi, turisti, famiglie, gruppi di giovani, antropologi e studiosi, registi, fotografi e documentaristi – è un momento importante. Si getta via l’atavica paura dei rettili e ci si dispone al contatto. A mezzogiorno in punto la statua del Santo esce dalla chiesa; sul sagrato gli vengono messe al collo decine di serpi, eterna contrapposizione tra fragilità umana e insidie della natura, che solo San Domenico sa come conciliare. La statua viene portata in processione, le ragazze in costume tradizionale portano sulla testa i canestri con i pani sacri.
San Domenico e i serpenti sono un connubio antico e inscindibile. Il santo, vissuto in epoca medievale e nella spiritualità monastica benedettina, si dedicava alla fondazione di eremi e conventi in Abruzzo e nel Lazio. Cocullo era l’ultimo baluardo militare laziale e sede dei servizi logistici dell’esercito romano, che vi portò usi e tradizioni pagane. Come quella di offrire alla Dea Angizia un omaggio propiziatorio di serpenti vivi. Dopo le guarigioni attribuite a Domenico, quell’usanza pagana venne trasformata in rito religioso cattolico. Un atto di gratitudine verso il Santo taumaturgo, che proteggeva dalla febbre e dal mal di denti, dai morsi dei serpenti, dei cani idrofobi e dei lupi.