Tutto era cominciato con un malessere generale: una tosse secca che gli impediva di dormire, il fiato corto dopo un piccolo sforzo, la fatica nei piedi e talvolta la sensazione di sprofondare in un buco nero di batticuore, ansia e mancanza di respiro.
“Vabbé, ho esagerato”, aveva detto a se stesso. Troppe sigarette, troppi alcolici, vita sregolata, lavoro pesante di giorno e caciara con gli amici la sera. “Da oggi si cambia”, si era detto, e un po’ era cambiato.
Anche perché non gli riusciva più di mantenere il ritmo. In pochi mesi aveva ridotto un po’ tutto – il lavoro, l’attività fisica, le grandi abbuffate – credendo che potesse bastare. Ma non bastava mai. Poi un amico lo porta da un amico, in clinica. “Attraversi la strada e vada subito al Pronto soccorso” gli dice un medico coscienzioso. Un po’ si spaventa, ma non al punto da fingere di non sentire il consiglio. Il campanello d’ allarme, prima sopito nella sua testa, ora suona a gran voce.
Dall’ospedale però lo rimandano a casa: “Non c’è fretta, torni tra un mese per la coronarografia”. Così si sente subito meglio, forse significa che non corre pericolo di vita. Ma l’amico dell’amico, non convinto, interviene di nuovo e i tempi si accorciano. All’Unità intensiva coronarica viene preso in carico dal primario, Leonardo Paloscia, che fissa subito la “coro”. La situazione si presenta difficile: due valvole cardiache logorate da troppo tempo e un cuore troppo stanco e gonfio per continuare a fare il suo dovere.
Si spera nella possibilità di un intervento in Cardiochirurgia, reparto che a Pescara non c’è. E allora dove? Bologna? Pavia? Ancona?
Dove trovare un’equipe cardiochirurgica così in gamba da tirarlo fuori dai guai? Le opinioni di popolo e i consigli da amico si affastellano, chi dice lì e chi suggerisce là, ma una voce si leva su tutte e si mantiene chiara, costante e sicura: Teramo, città che, insieme a Chieti, figura tra le eccellenze nazionali nella Cardiochirurgia. Dibattendosi tra dati ufficiali, percentuali di successo e indici di mortalità, il nostro paziente è sempre più orientato a non alimentare la mobilità passiva e si persuade che sarà quella del Mazzini di Teramo la sua “squadra del cuore”.
Una volta dentro, osserva che da qui i pazienti non fuggono, anzi arrivano da tutta Italia, ma i posti sono pochi e i malati sono tanti. Questa è la storia – vera – del signor G. che abbiamo scelto di raccontare perché è anche paradigmatica e può valere per altri. Una storia che racconta di medici bravi e sottace quelli che lo sono un po’ meno, perché non si vive di sola malasanità.
Al Mazzini le cose vanno spedite, e purtroppo gli esami sul cuore del signor G. evidenziano problemi così seri da mettere addirittura in forse la possibilità di un intervento di sostituzione valvolare. Il primario, Marco Di Eusanio, si prende il suo tempo per studiare reazioni e carte; normalmente la sostituzione delle valvole, anche quando viene fatta “a cuore aperto”, ormai segue procedure collaudatissime, il rischio è minimo. Ma non stavolta: lo stato di questo cuore non può che tenere all’erta un medico come Di Eusanio, esperto anche di analisi del rischio pre e post operatorio (questo il signor G. lo ha letto nelle 65 pagine del suo curriculum).
Dopo una settimana di accertamenti ed esami anche invasivi, Di Eusanio si pronuncia: non fa sconti e non dà pacche sulla spalle, ma è chiaro, esaustivo ed efficace. Sa quello che fa e che potrebbe fare e sa come dirlo al paziente. Le opzioni sono tre: restare così e non andare da nessuna parte, mettersi in lista per un trapianto di cuore, che arriverà dopo anni di attesa e logorio (perché siamo troppo egoisti per donare i nostri organi), oppure tentare un intervento a rischio. Non gigante, ma nemmeno piccolo.
E il signor G. rischia, anche sulla base di quelle spiegazioni dettagliate e convincenti. O la va o la spacca, come nei telefilm americani. Intervento a cuore fermo, in circolazione extra-corporea.
L’ “heart team” del Mazzini sa il fatto suo, anche grazie alla collaborazione strettissima e ad un autentico, e forse raro, spirito di squadra. E’ andata. Il paziente si sveglia e in 48 ore è fuori dall’intensiva. Il signor G., Marco Di Eusanio, l’equipe, le infermiere, il reparto, il Mazzini e tutto l’Abruzzo tirano un sospiro di sollievo. Perché un’altra storia, anche nella sanità abruzzese, è possibile.