Abbiamo incontrato la pittrice Vilma Maiocco (nella foto) nel suo studio a Fallo, un piccolo e suggestivo paese della provincia di Chieti dove adesso vive e dipinge, lontano dal caos romano dove è cresciuta e si è formata. Abbiamo visto i suoi splendidi lavori e ci siamo fatti raccontare, tra quadri, pennelli e colori, il suo lavoro e i suoi tanti prossimi progetti.
Vilma sei reduce da una esposizione a Roma, Contestualmente 9 nella suggestiva via Margutta, a Gennaio ti aspetta un importante appuntamento, la mostra al Castello dell’Ovo di Napoli, prima di parlare dei tuoi tanti e prossimi impegni, anche per capire meglio il tuo lavoro, partiamo da lontano. Hai frequentato lo IED di Roma, come e quando ti sei avvicinata alla pittura? Quando hai capito che la strada che volevi percorrere era questa?
“Non ho mai dovuto decidere quale fosse la strada da percorrere. Da che io ricordi è sempre stata ben delineata. Ho sempre amato disegnare, dipingere e sono stata incoraggiata da chi mi è stato vicino. Ho avuto la fortuna di avere anche dei validi insegnanti che, vedendo in me un ‘certo talento’, mi hanno sempre consigliato di continuare. Vero è che ho avuto una lunga pausa di riflessione tra la fine degli studi e l’inizio ufficiale della mia attuale attività ma ho sempre gravitato nell’ambito creativo (design, complementi d’arredo, moda…)”.
La pittura è il linguaggio attraverso il quale hai scelto di esprimerti, parlaci di questa affinità.
“Tutto è avvenuto in maniera naturale, senza forzature. E’ da sempre il linguaggio pittorico quello che mi consente di raccontarmi in maniera totale. Al colore affido le mie sensazioni muovendomi nella dimensione della memoria, del sogno. E’ sulla tela che le immagini “immagazzinate” trovano vita grazie ad una scelta che è ad un tempo spontanea e consapevole”.
Sei partita da una pittura figurativa e sei approdata ad un progetto più evocativo, quale è stato il percorso di senso che hai affrontato? Il colore, la distorsione delle immagini, la scomposizione della realtà, la sospensione, il pericolo affrontato e scampato, la forte evocatività sono la tua cifra stilistica, quale il senso che cerchi e vuoi suggerire con le tue opere?
“Come tu dici, dopo una prima fase in cui ero molto legata alla rappresentazione descrittiva delle immagini, ho sentito che questo non mi bastava più. Ho sentito e assecondato l’esigenza di sperimentare, attraverso un processo di scardinamento sia formale che cromatico, un diverso linguaggio pittorico e mi sono avvicinata all’idea di ‘movimento’. Gli spazi rappresentati sono diventati fluidi e le prospettive metamorfiche, instabili. Queste abbracciano ogni elemento della composizione e lo avvolgono, lo trasformano e sono costruite in modo tale da imporre, alla composizione, il ritmo ‘dell’eterno ritorno del tempo’. Gli spazi diventano illusori, pulsanti, suggerendo un continuo movimento di espansione e contrazione”.
Quale è la visione sulle cose che vuoi trasferire sulla tela? A che punto sei del tuo “viaggio”?
“Non c’è più in me l’urgenza di procedere con precisione e chiarezza descrittive, nelle mie tele cerco di costruire immagini che mi permettano di esaltare l’idea di ‘sospensione’ del ‘non ancora concluso’. Il pericolo viene affrontato ma con la leggerezza e la giusta distanza dalle cose che sono accadute, accadono e accadranno. Questo è stato sempre l’aspetto centrale della mia pittura. Sinceramente non so a che punto del viaggio io mi trovi ma sento che questo, per me, è un momento di estrema libertà nel mio percorso espressivo e mi lascio portare senza sentire il bisogno di chiedermi dove andrò…”.