Passioni e superstizioni dei campioni del ring


Rocky Marciano

di LINO MANOCCHIA

Marciano credeva negli aeroplani, Carnera nelle streghe. Ray Robinson voleva la stanza numero 29 del Garden, Willie Pep prediligeva un cornetto di legno nero.

Come ogni essere  umano, anche i grandi campioni  hanno le loro piccole manie, le loro piccole  superstizioni e le loro cose predilette. Anche i grandi campioni aspirano a divenire   celebri musicisti, ad emulare Fred Astair o raggiungere la fama di Benny Goodman.

Sul ring, però, è differente: qui la forza, lo stile, l’occhio, sono quelli che dominano e regolano un incontro; fuori dalle quattro corde, fuori dalle luci triangolari,i pugili rappresentano uno dei tanti gruppi  di persone sparse sulla terra, non peggiore né migliore di quelli che vivono la loro giornata in diverse attività.

Gli episodi  che vi narrerò in questa “girandola sportiva” faranno sembrare strano ed assurdo tutto il pezzo, mentre non sono che autentici dati di fatto accuratamente raccolti. Nella storia dell’emigrazione italiana  che conobbe un nuovo boom nel dopoguerra, lo sport ha sempre rappresentato una fugace ma valida iniezione di orgoglio nazionale.

Rocky Marciano (Rocco Francis Marchegiano) divenne il più grande campione mai visto fino alla sua epoca, il simbolo della forza, la cocciutaggine italiana. Il suo cognome, americanizzato negli Usa si pronuncia “Marsiano”, e davvero Rocky appare come un  extraterrestre agli occhi di milioni  di appassionati yankee. Quel cognome italiano fu per Rocky una specie di strega, un “malocchio,” specie allorché il suo cognome veniva pronunciato, generando spesso  ilarità.

Rocky (nato il primo di settembre 1923)  un giorno, durante gli allenamenti lassù a Grossinger (N.Y.)  ebbe a dirmi: “Ma perché in Italia scelgono certi cognomi strani che poi generano la risata sarcastica dei tifosi, senza ignorare che la mia richiesta di un documento familiare mi mette nei guai con la stampa e gli organizzatori?” A volte penso che mi porti sfortuna…”.
Cercai di spiegare “l’arcano” che poi altro non è, se vogliamo, che il  “passatempo” dei cognomi di tutte le razze, come, ad esempio, il cognome del noto Saltalamacchia, giocatore del Boston red- Yankee (baseball” ) che genera sarcasmo a più non posso.

Rocky amava gli aeroplani. “Quando sono lassù, vedo ad occhi chiusi il risultato del prossimo mio incontro”. “Per me, diceva Rocco, l’aereo è la mia passione e nel contempo la mia superstizione”.

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Rocky  Marciano

Sfortunatamente, il bravo figlio di mamma Pasqualina e papà Pierino Picciuto, un lavoratore  instancabile, ci disse addio da bordo del suo Cesna 172 –che perse il motore- diretto a Des Moine, mentre infuriava una mortale bufera, che lo stroncò.

E’ noto che i boxeur hanno molte ore libere fra un allenamento e l’altro e così Ezzard Charles, amante della musica, suonava il violino riproducendo una melodia ascoltata da un disco, ma stanco del violino, intraprese la lettura delle opera del  Kipling.

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Ezzard Charles boixeur

Questa cosa non è nuova poiché è risaputo che molti pugili – fra i quali Gene Tunney e Jimmy Braddock, si dedicarono alla lettura di Shakespeare, riuscendo a farne critiche giuste, che lo ponevano tra i più decisi superstiziosi, capaci di “sfatare” il  destino, recitando una particolare frase del libro,prima del combattimento.

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Gene Tunney

Anche i colori hanno la loro parte predominante nel “casus”superstizione. Jack Dempsey era abituato a mettersi i calzoncini rossi ed un maglione rosso alle spalle al posto dell’accappatoio e, prima dell’incontro, soleva  baciare una statuetta rossa raffigurante Nettuno, custodita insieme ai trofei.

Guglielmo Papaleo, alias Willie Pep, nato nel Connecticut,il miglior pugile della categoria “leggeri” ad ogni incontro voleva che il suo “secondo” appendesse all’angolo del ring, dove egli sedeva, un cornetto nero di legno ed un pezzo di stoffa color giallo.

Jack La Motta-il toro del Bronx-, il pugile più discusso del giorno, non saliva sul ring senza il suo grande accappatoio di pelle di leopardo, mentre durante i massaggi negli spogliatoi, il secondo figlio gli doveva tirare l’orecchio sinistro.

Un giorno parlando col  “Bull of the Bronx,”  chiesi se era vera tutta quella “diceria”, Jack approvò e confermò che tutto era realtà  di vita vissuta dal novantenne pronto a dire “yes” per la settima volta ad una bella ragazza di 50 anni più giovane “che non mi permette di fumare in camera, ma il numero sette è stato sempre il mio portafortuna”.

Ray Robinson che amava la musica quanto la boxe, aveva formato un quintetto col quale suonava con buon ritmo. Robinson era un fervido ammiratore di Joe Louis e voleva calcare le sue orme. Amava le mele che voleva sempre a portata di mano nello spogliatoio, mentre non dimenticava di dire una preghiera prima dei pasti e prima dell’incontro sul ring. Il suo numero preferito era il 29, ed ogni volta che si recava al Madison Square Garden, egli insisteva  affinché gli venisse riservato lo spogliatoio numero 29, nelle adiacenze della 90^ strada.

L’ex campione dei massimi, Joe Louis, amava il numero 30. Si dice che nel suo ultimo combattimento al Madison Square Garden egli non trovasse la sua stanza preferita perché occupata  dal giudice. Al termine del vittorioso incontro Louis dichiaro: “Ho vinto ma stavo quasi per perdere, per mancanza di quella stanza”. Il bombardiere nero infilava  prima il guantone sinistro e poi il destro, mentre baciava il destro dopo il controllo del peso. Egli amava i cavalli e l’ippica – dove lasciò molti suoi dollari con le scommesse – (n.d.r).

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Joe Louis

Un giorno, interpellando Primo Carnera, seppi che egli credeva alle streghe. Dopo il match con Max Baer, che era anche suo amico,il gigante confessò che il suo amuleto consisteva in un dente di cane appeso al suo polso sinistro, durante gli allenamenti. Ma purtroppo il match con l’amico Baer  fu negativo, ed anche quella volta “chiese perdono..al Cielo”.

Su queste manie ci sarebbe da ridere, ma che volete, come ogni essere umano, anche loro possono avere le loro superstizioni e idee, specie  poi quando sono dei campioni. Ne convenite?